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A tu per tu con Eugenio Borgna

“Ci sono parole che curano, che salvano la vita o che aggravano le ferite di chi sta male nel corpo e nell’anima”. Lo ribadisce Eugenio Borgna, emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara in occasione del suo primo incontro quest’anno a Verona, il 13 febbraio, in biblioteca civica in Sala Farinati alle 17.30, promosso dall’ Associazione Culturale La Cura Sono Io in collaborazione con il Circolo dei Lettori di Verona, con il patrocinio del Comune di Verona, Assessorati alla Cultura e ai Servizi Sociali, e il sostegno della Fondazione Cattolica.

“La psichiatria è immersa nelle parole di chi cura e di chi è curato” anticipa Borgna che ha dedicato numerosi libri all’approfondimento della delicata relazione della fragilità con il dolore fisico e alla responsabilità di ogni persona che entra in contatto con chi soffre attraverso la sua presenza fisica, i suoi gesti e la sua comunicazione verbale. “Le parole sono creature viventi, non sono  mai inerti e mute ma comunicano sempre qualcosa, sono impegnative per chi le dice e per chi le ascolta”, continua il prof. Borgna. “Senza la mediazione delle parole non sarebbe possibile fare riemergere il discorso infinito del dolore, dell’angoscia, della tristezza e dei trasalimenti dell’anima”.

Nell’era di Internet, in cui le parole sui social spesso sono istintive, povere, scarne, occorre “tornare dalle parole povere di emotività e di calore umano a quelle che hanno un suono, se vogliamo intendere la voce del dolore e della speranza. In questo senso le famiglie, la scuola e i grandi strumenti di comunicazione hanno una grande responsabilità nel ridare importanza alle parole viventi, senza con questo disconoscere l’importanza della comunicazione digitale, ma rimarcandone i limiti e circoscrivendone le aree di comunicazione”.

La fragilità, tema approfondito nell’opera di Borgna, riveste un ruolo non limitante ma chiave. “La coscienza delle nostre fragilità di consente di avvertire il bisogno di entrare in relazione con gli altri, facendoci uscire dai rigidi confini della nostra solitudine e dei nostri egoismi”. Trovare le parole giuste e sensibili, che non fanno male e aiutano chi vive nel dolore, non è facile e non esistono ricette preconfezionate. L’empatia ci predispone però a trovare qualche utile risposta.

“Di fatto non le troveremmo mai se non siamo capaci di immedesimarci nelle loro emozioni e di riviverle in noi”, dice Borgna. “Ci sono psichiatri e psicologi che non le hanno e persone semplici che le hanno: sono qualità almeno in parte innate e nondimeno in ciascuno di noi educabili”. Se una persona è depressa e se ha bisogno anche di una breve degenza ospedaliera, parole forti come “pazzia”, “demenza” o “Alzheimer”, per fare solo qualche esempio, spesso sbandierate con leggerezza con l’intento di preannunciare quella che può essere una diagnosi possono straziare chi le ascolta se non si tiene conto della sua fragilità. E non solo: il loro effetto negativo si ripercuote anche contro chi le pronuncia: “Fanno del male anche a chi le dice: inaridendo emozioni e sensibilità al dolore che fa parte della vita” conclude Borgna, che invita: “E, allora, evitiamole”.

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