«La cura sono Io», la prevenzione per la salute delle donne.

Per parlare di salute e prevenzione delle malattie a partire da quelle oncologiche, si tiene oggi on line la tavola rotonda «La cura delle donne» organizzata dall’associazione «La cura sono Io», fondata e diretta da Maria Teresa Ferrari che incontra il pubblico sulla pagina Facebook dell’associazione impegnata prevalentemente su temi oncologici.

L’assessore alle Pari Opportunità e Cultura del Comune di Verona Francesca Briani apre l’incontro a cui partecipano, oltre alla presidente Ferrari coordinatrice del collegamento in diretta, Eliana Liotta, giornalista e saggista scientifica e Francesca Fornasa, responsabile del centro oncologico scaligero Breast Unit Aulss 9. Saranno inoltre proposte letture a cura di Sandra Ceriani, voce narrante.

L’evento rientra nel programma della rassegna Ottomarzo femmine plurale organizzato dal Comune di Verona per la festa della donna. «Se non abbiamo cura di noi non possiamo avere cura degli altri e del pianeta», spiega Maria Teresa Ferrari, «perciò sarà un incontro a 360 gradi e porteremo l’esperienza di vita vissuta di molte professioniste sul tema della cura in svariati campi, dagli argomenti quotidiani di salute e bellezza alle funzioni della politica intesa quale cura dei diritti e doveri della società». Si segue al link https://www.facebook.com/icappellidiTerry.

https://www.larena.it/rubriche/salute-e-benessere/la-cura-sono-io-prevenzione-sulla-salute-delle-donne-1.8518471

La dj Valeria Benatti: «Lascio la radio e riparto dal mio negozio lento»

Da famosa conduttrice di Rtl 102.5 a fondatrice di un commercio a sostegno (anche) dei più fragili. Qui si trovano per esempio i baschi colorati e tempestati di paillettes con cui si finanziano «La cura sono io» per le donne dopo la chemio e il «Caf» per minori e famiglie

di Luciano Ferraro

La dj Valeria Benatti: «Lascio la radio e riparto dal mio negozio lento»

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«Il confine tra “privato” e “pubblico” e tra “dentro” e “fuori” negli ultimi anni si è spostato, e nessuno ci ha informati. Forse si è addirittura cancellato». Quando ha letto uno dei suoi libri preferiti, Valeria Benatti non pensava che sarebbe diventata a breve l’incarnazione di queste parole. Era una delle conduttrici radiofoniche più famose d’Italia, a Rtl 102.5 ha condotto «W l’Italia» e «Non stop news». Nell’ottobre scorso ha chiuso il rapporto con la radio che ha una media di 7,4 milioni di ascoltatori al giorno. E come un personaggio del romanzo Tre piani dell’israeliano Eshkol Nevo, Benatti ha cambiato prospettiva.

Ha aperto un negozio, l’Ariosto social club, in centro a Milano, zona Magenta. Un negozio che sembra una casa, con una porta al posto delle vetrine. Come in ogni casa, prima di una visita si telefona (e si prenota). Così per 30 o 60 minuti si è soli con Valeria. «In una città abituata a correre – spiega lei – ho pensato ad una accoglienza lenta, a un salotto che si trasforma in bazar, per mostrare abiti, scarpe, gioielli e oggetti che mi piacciono, con prezzi contenuti. Requisiti comuni, sostenibilità e ecologia dei consumi. E solidarietà». Come i lucenti baschi, colorati e tempestati di paillettes, ideati da Maria Teresa Ferrari, malata oncologica, autrice del libro La cura sono io: «Sono cappelli pensati per tutte le donne, non solo quelle che hanno avuto a che fare con la chemioterapia, e hanno un interno ultra morbido che non irrita il cuoio capelluto». Costano 70 euro. Le vendite finanziano l’associazione che prende il nome dal libro. Ma l’elenco completo di quel che si può trovare è lungo.

Dagli anni della guerra in Vietnam per esempio provengono bracciali (25 euro) e altri monili in alluminio. Gli abitanti del villaggio di Ban Naphia, in Laos, raccolgono le parti metalliche dei residui bellici. «Dal 1964 al 1973 gli americani sganciarono oltre due milioni di tonnellate di ordigni sul Laos, rendendolo il Paese più bombardato della storia. Il 30 per cento degli ordigni però non esplose, e quel materiale viene così riciclato anche per gli ornamenti», sostiene Pininfarina che li distribuisce. La linea si chiama «No War Factory, jewels made from bombs». Le piccole borsette da sera in velluto rosso (35 euro) sono state ideate dalla designer Monica Galletto per il gruppo Chicco di Felicità, a sostegno del Caf (Centro di aiuto ai minori e alla famiglia in crisi) che si occupa dei bambini accolti nelle comunità e dei nuclei in difficoltà. Si ottiene lo stesso risultato acquistando un pendente a forma di stella con un brillantino (130 euro) e il panettone Sant’Ambroeus (65 euro), contenuto in una cappelliera. Dalle detenute di Opera invece sono arrivate nel Social club le sgargianti tibetane in velluto (35 euro) della Sartoria Borseggi, «una espressione di riscatto e di responsabilità sociale».

Si acquista anche online sul sito dell’Ariosto social club: le consegne sono affidate a un gruppo di ragazzi in bicicletta. Il negozio è stato aperto il 3 dicembre scorso. «Ed è partito subito a razzo», dice Valeria, raccontando le storie che stanno dietro ad ogni oggetto. Dalle cinture Cycled ricavate da vecchi pneumatici di biciclette (69 euro, l’idea è dei fratelli veneti Luca e Silvio Potente) ai vassoi laccati e impreziositi dalla tecnica del collage dell’artista Marina Tappa (70 euro), agli abiti morbidi della stilista spagnola Andrea Folgosa. E molto altro. «Per uno shopping consapevole e senza plastica», assicura la padrona di casa. Il palazzo che ospita l’Ariosto Social club era un hotel (nome Ariosto, via Ariosto 22).

La proprietà è del compagno di Valeria Benatti, Emanuele Vitrano Catania, fondatore del Brera Hotel, poi ceduto. La sua idea è quella di trasformare l’ex albergo Ariosto in un insieme di appartamenti, uniti da una scala in stile liberty, per gli affitti brevi. Ogni appartamento è diverso dall’altro, tutti sono arredati con mobili di design che si potranno anche acquistare a prezzi scontati. Attorno ai venti alloggi e allo store apriranno un parrucchiere (guidato da un ragazzo dello Sri Lanka che non aveva un posto per lavorare), una palestra, un bistrot e un ristorante. «Abbiamo messo assieme un gruppo di giovani squattrinati e li abbiamo adottati», dice l’ex conduttrice che ha debuttato l’estate scorsa nel commercio con un piccolo negozio, Salina Mon Amour. Veronese, autrice di libri come «Gocce di Veleno» che ha vinto il Bancarella tre anni fa, Valeria Benatti si è trasformata così da una voce della radio a una cercatrice di tesori eco-solidali. Spostando i suoi confini tra pubblico e privato.

https://www.corriere.it/buone-notizie/21_gennaio_05/dj-valeria-benatti-lascio-radio-riparto-mio-negozio-lento-5536dab4-4ea4-11eb-80d3-dd4bb2b89fab.shtml

Ecco come l’alta moda inventa le mascherine con 400 metri di tessuto donati

In tanti abbiamo scoperto (o riscoperto), in questi due mesi trascorsi in casa, il cucito. Un esercizio rilassante: dicono. Probabilmente è stato meno rilassante, perché concentrate e attente a non sbagliare, per le donne veronesi. Felici comunque di aver risposto «presente» alla maratona della solidarietà, «CUCI&CURA #iorestoacasaacucire», organizzata da La Cura sono Io– associazione non profit nata per progettare bellezza nonostante – insieme a Pagliani&Brasseur, storico laboratorio di Verona che produce fiori in tessuto per l’Alta moda. È una idea tutta al femminile non poteva che iniziare in una data perfetta, lo scorso 8 marzo, giorno della Festa della donna. «Io e la mia amica Maria Teresa Ferrari, presidente de ‘La Cura sono Io’, ci siamo guardate negli occhi e abbiamo capito che bisognava fare qualcosa per gli altri», ricorda Anna Tosi, terza generazione di imprenditori di Pagliani&Brasseur, da 75 anni simbolo del tocco decorativo sugli abiti degli stilisti che contano.

Così, la signora ha deciso di donare 400 metri di tessuto pregiato alle sue concittadine volenterose e armate di ago e filo. «Naturalmente, non abbiamo chiesto di raggiungerci in atelier: tutto il materiale è stato recapitato a casa, grazie alla preziosa collaborazione dei volontari della fazione ‘Fevoss Santa Toscana di Verona’, impegnata nell’integrazione sociale e nella lotta contro l’emarginazione». Un sacchettino, il tessuto cento per cento cotone, e l’elastico adatto per i lacci. E lo stesso contenitore, con la mascherina già realizzata, era pronto per ripartire. Ormai sono più diecimila le mascherine prodotte. La destinazione? «Abbiamo iniziato con i senta tetto, le persone meno abbienti, ed i detenuti del carcere di Verona: ma, poi, le richieste sono aumentate. Ormai ci chiamano da tutta l’Italia», spiega Tosi, la quale ha chiesto ad alcuni suoi dipendenti, nei primi giorni dell’emergenza, di tornare al lavoro per la nobile causa, affrontata in puro stile Pagliani&Brasseur: «Le mie mascherine hanno sedici ‘pence’, e non le classiche tre pieghette delle altre mascherine: ogni settimana esco con una collezione nuova. Del resto, il nostro archivio contiene più di 75 mila prototipi: è una ricerca continua». «Sapevo che Anna mi avrebbe capita e seguita in questa impresa», afferma Maria Teresa Ferrari, per la quale la maratona non è finita: «Abbiamo realizzato altre cinquemila mascherine insieme alle sarte volontarie del progetto ‘Intreccio’ della Fevoss e de La Cura».

Inoltre, si appresta a ricevere l’ultima serie di mascherine dell’atelier della Tosi, la quale non vede l’ora di esporre nel suo negozio di Parona, alle porte di Verona, la collezione, “Non ti scordar di me”: per ogni pezzo venduto, tre euro saranno donati in beneficenza per la realizzazione dello “Spazio benessere” nel reparto di oncologia degli ospedali di Verona, tra i progetti più importanti portati avanti dall’associazione culturale, “La Cura sono Io”. Anche altre città, come Roma, Napoli e Parma, hanno risposto all’appello delle due donne veronesi, le cui mascherine sono finite nelle carceri di Poggioreale, Regina Coeli e Rebibbia, così come nel Tribunale di sorveglianza e richieste dalla Protezione civile di Parma. Che fare in questi casi? «Non fermarsi mai. Adesso, per esempio, mi sto dedicando a un progetto per una serie di cuffiette, camici e tute sanitarie, sempre in cotone», racconta la donna dei fiori, mentre si coccola tra le mani la sua mascherina, double-face, con apertura laterale realizzata per poter inserire, impreziosendola, una mascherina chirurgica o la Ffp2, e soprattutto omologata e antibatterica.

Link all’articolo qui sotto

https://www.corriere.it/buone-notizie/20_maggio_05/ecco-come-l-alta-moda-inventa-mascherine-400-metri-tessuto-donati-5d47e034-8e26-11ea-b08e-d2743999949b.shtml

PREMIO VICTORIA

Il Premio Victoria verrà comunicato e assegnato domenica 10 settembre alle ore 18 nel corso di un evento che si terrà nel teatro della Triennale, nell’ambito della grande rassegna del Corriere, “Il tempo delle donne”.Per vedere la mia intervista:
http://video.corriere.it/star-up-cappellini-coprire-cattivi-pensieri/7e7e9a6c-8cf4-11e7-b5e1-7559ef64c47b Per votarmi, invece, clicca nel link qui sotto e clicca “SCEGLI LA TUA STORIA”.

http://iltempodelledonne.corriere.it/2017/premio-victoria/

Il vincitore verrà decretato da una giuria di giornalisti del Corriere della Sera, ma il voto della giuria popolare sarà comunque importante.

La Cura (contro il cancro) sono io

Anche il dolore può diventare fonte di ispirazione se la malattia si affronta con grazia. Come ha saputo fare la giornalista veronese che ha fondato un’associazione per divulgare la sua “rivoluzione dolce” ed è diventata imprenditrice lanciando la linea dei “Cappelli ad Arte”

La sua “seconda vita” è cominciata il 5 agosto 2015, dopo l’intervento subito per un complesso carcinoma mammario, a cui sono seguite le conseguenti chemioterapie e radioterapie. Esperienza da cui Maria Teresa Ferrari, cinquantenne veronese, professionista della comunicazione, ha saputo trarre il lato salvifico, consapevole del fatto che «quando i pensieri negativi ti assalgono, bisogna essere molto creativi per scacciarli».

La sua energia e la sua positività non sono sfuggite ai medici, che le hanno chiesto di diventare testimonial di se stessa e di tutte le donne che vivono la sua situazione (e sono tantissime perché la neoplasia mammaria colpisce una donna su sei, e il cancro al seno è ancora il terzo killer, dopo polmoni e pancreas). Mentre aspettava di sottoporsi alla chemioterapia, Maria Teresa (per tutti, Terry) ha cominciato a scrivere, ha aperto una pagina Facebook dove posta pensieri, riflessioni, suggestioni. Da quel momento sono piovuti a pioggia i like, le interazioni, le richieste di consigli. Lei prima ha fondato un’associazione, La Cura sono io, e poi ha lanciato il progetto “Cappelli ad Arte”, inventando una linea di copricapi allegri e quasi “taumaturgici” per consentire a tutte le donne che perdono i capelli con la chemioterapia di sentirsi belle nonostante la malattia. Per il suo impegno e il suo coraggio ha ricevuto il Premio Victoria. Ecco come si racconta a “Vita”.

Non c’è bisogno di essere psicologi per sapere che la malattia porta sempre con sé una trasformazione. In che modo lei è riuscita a trasformare il male e il dolore in qualcosa di positivo per sé e per gli altri?
Penso che un ruolo fondamentale abbia avuto il mio carattere, positivo e ottimista. E alle spalle una vita già toccata dalla sofferenza e da seri problemi di salute. La trasformazione è stata spontanea. Quando finalmente ho saputo cosa avevo e quale percorso avrei dovuto affrontare, è scattato dentro di me qualcosa. Spontaneamente. Mi sono detta: «il cancro non mi ruberà il sorriso». Avevo una certezza: non avrei affrontato il cancro in modo battagliero – penso che nessuna malattia vada affrontata con aggressività e odio, atteggiamenti che non fanno altro che incrementare la negatività – ma con una fermezza gentile, con uno spirito che non mi avrebbe abbruttito l’anima e la vita. Un atteggiamento che i medici hanno notato subito con stupore e insieme grande piacere. Mi hanno chiesto di fare testimonianza perché avrei portato un messaggio positivo e così ho fatto: inizialmente sui social ed è stata subito empatia…è nata così su Facebook la mia grande famiglia. Poi la testimonianza è diventata quotidiana.

Penso che nessuna malattia vada affrontata con aggressività e odio, atteggiamenti che non fanno altro che incrementare la negativitàMaria Teresa Ferrari

Maria Teresa Ferrari Nel 2016 Durante La Chemio Foto Scattata Per Una Mostra

Si può imparare ad “avere cura di noi stessi” anche in questo frangente?
Non solo si può, ma si deve. Affronti la malattia in modo completamente diverso, dentro e fuori. Ancora prima di essere operata, quando ho saputo che avrei dovuto affrontare tutto il percorso delle chemioterapie e della radioterapia, mi sono “attrezzata”. Ho cercato informazioni di tipo diverso: da quelle fiscali a quelle nutrizionali, a come avrei affrontato la caduta dei capelli. Ammetto che sono stata fortunata, perché, avendo deciso di curarmi all’interno dello IEO, l’Istituto Europeo Oncologico fondato da Umberto Veronesi e ora diretto dal figlio Paolo, mi sono rivolta allo Spazio benessere, gestito da APEO (Associazione Professionale di Estetica Oncologica), che si trova all’interno dell’ospedale. E lì ho scoperto un mondo ancora, purtroppo, poco conosciuto. L’importanza di usare da subito i prodotti giusti, la possibilità preziosa di farsi aiutare, ma innanzitutto di aiutarsi in modo decisivo quando sorgono problematiche e inestetismi alla pelle, alle unghie e altro. APEO è da allora nel mio cuore e cerco di diffonderlo il più possibile.

Che consiglio si sente di dare alle altre donne colpite da un tumore, soprattutto a quelle che non riescono a reagire o non accettano la malattia?
Difficile dare consigli. Queste sono situazioni in cui è bene chiedere aiuto a una brava psicologa, perché non accettare la malattia è logorante e nocivo. Spesso si è colti da depressione o altre patologie e pertanto ci vuole la medicina. Diventa fondamentale il ruolo dei medici, dell’oncologo in particolare. Tutti i pazienti possono chiedere il supporto della/dello psicologo, ma molti non lo sanno. Quando queste donne si rivolgono a me, ascolto, cerco di aiutarle dando tutti quei consigli di base che a me hanno fatto bene, ma è difficile che cambino atteggiamento nei confronti della malattia se non sono supportate. Lo ribadisco perché capita che i medici omettano di dirti i servizi, gli aiuti di cui puoi usufruire durante le terapie oncologiche. E trovo questa “dimenticanza” molto grave.

Con la sua associazione e con il progetto “Il cuore in testa” ha ottenuto grandi riconoscimenti. Qual è quello a cui tiene di più e perché?
Non nego che ricevere il Premio Victoria è stato emozionante. All’inizio l’ho preso come un gioco. La sorpresa di essere stata selezionata per il Premio, l’intervista di Corriere Tv, la condivisione sui social, centinaia e centinaia di persone che mi scrivevano, hanno generato pura energia che viaggiava in Rete. Quando è arrivata l’attesa serata dedicata all’evento e alle premiazioni, quando sono entrata in Triennale, quando ho conosciuto le altre finaliste, l’emozione si è fatta sentire. Eccome! Quando poi in teatro mi hanno proclamato vincitrice , mi sono commossa tantissimo. Quel premio non l’ho vinto da sola, ma assieme a tutta la mia grande famiglia social. A tutte quelle persone che mi sono state vicine con un pensiero, una preghiera, un abbraccio. Una condivisione toccante, fondamentale.

Quali sono i prossimi obiettivi dell’associazione e in che modo è possibile sostenerla?
L’associazione è nata con una mission: “progettare bellezza, nonostante” ed è quello che stiamo portando avanti in campi diversi: per ritrovare il proprio benessere e risvegliare e sostenere l’amore della persona per se stessa e la propria vita, l’associazione promuove progetti che dall’ambito oncologico si estendono alle arti in genere. Primo tra tutti, “I sogni di Terry”, che comprende la collezione di cappelli e copricapi estrosi e anallergici, Cappelli ad Arte, portatori di messaggi positivi, pensati in particolare per chi vive la nudità improvvisa della sua testa, causata dalla chemioterapia o da altre patologie. #Copripensieri che aiutano e promuovono la ricerca contro il cancro. Un’idea che è piaciuta tantissimo a tutti, ma che è difficile sostenere. Per proseguire nel progetto abbiamo bisogno di partners e aiuti. Poi ci sono le conferenze, una rassegna in corso, che sta riscuotendo grande interesse, riguarda “Le parole che ci salvano”, con esponenti dal mondo della cultura e delle scienze, tratta un tema complesso e vitale quale l’uso delle parole nei momenti più dolorosi. “Il Cuore in testa”, il progetto partito da Verona a ottobre che ha fatto tappa a Milano il 6 e 7 febbraio a Palazzo Marino, promosso in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche sociali, Salute e Diritti di Milano, legato alla diffusione della prevenzione del tumore al seno, che ha previsto una mostra di ritratti di donne e il convegno: “”Tumore al seno: dalla cultura della prevenzione alla cura estetica ed interiore per migliorare la qualità della vita”. Siamo stati invitati a Roma, alla Camera dei deputati, a presentare l’associazione e i suoi progetti… Insomma, siamo nati la scorsa primavera ed è proprio il caso di dire che La Cura sono Io corre veloce, più veloce di noi. Per farla vivere abbiamo però bisogno di aiuti, di nuovi soci, di contributi. Sul nostro sito www.lacurasonoio.it è possibile sostenerci, trovare il modo di tesserarsi, acquistare cappelli, contattarci.

Recentemente Nadia Toffa e Daria Bignardi hanno richiamato ancora una volta l’attenzione sul modo di affrontare il cancro. Qual è il suo commento?
Sinceramente penso che ognuno abbia la sua modalità di affrontare il cancro e che qualsiasi sia l’atteggiamento della persona malata vada accettato e mai criticato. Io ho raccontato il mio percorso, l’ho condiviso, non ho omesso paure, fatiche, sofferenze, ma ho sempre tutelato il mio privato. La gente sente la tua sincerità e la apprezza. E comunque non si può mentire con la malattia, saremmo dei mostri. Pertanto la vivace – diciamo pure esplosiva – testimonianza televisiva di Nadia Toffa o il silenzio della Bignardi nel mentre viveva il “suo” cancro, raccontato oggi nel suo ultimo libro, sono scelte personalissime, importanti e utili perchè parlare del cancro è importante e aiuta ad allontanare la paura. È importante come invito a fare prevenzione e a ribadire che, con le cure adeguate, possiamo guarire. L’unica cosa che ritengo fondamentale ribadire è che ogni cancro è diverso e diversa è la reazione della persona, diverse sono le terapie. Ognuno vive la malattia a suo modo. È importante dare un messaggio positivo ma è altrettanto importante essere sempre sinceri. Per questo è fondamentale usare le parole giuste.

Race for the Cure, la storia di Maria Teresa: «Siamo belle anche con il cancro ». E lancia una linea di cappelli

Maria Teresa, 53enne, di Verona. Tre anni fa la sua vita cambia, scopre di avere un tumore al seno. Ma la donna, organizzatrice di eventi, non si arrende. Anzi, si reinventa. L’abbiamo incontrata a Roma, al Villaggio della Salute targato Race for the Cure. La manifestazione contro il cancro al seno, promossa da Komen Italia e di cui Leggo è media partner.
Maria Teresa racconta di aver pianto la prima volta che si è vista con un cappello oncologico. E da lì il cambiamento: «Ho deciso di aprire la mia linea di copricapi dedicati alle signore che affrontano la malattia. Il segreto è prendersi cura di sé e mettersi sempre un filo di rossetto». La signora-coraggio lancia “I cappelli di Terry” e fonda l’associazione “La cura sono io”, per ricordare alle donne che la guarigione passa anche attraverso il benessere.
(servizio di Emiliana Costa)